Quello che ho capito del Referendum No-Triv

Quello che ho, o credo di aver, capito, del dibattito sul referendum No.Triv, è che la maggior parte degli argomenti portati a favore delle attuali licenze esistenti a tempo indeterminato (vota NO) e di quelli contrari (vota SI) sono irrilevanti.

A differenza di quanto sostenuto dai propugnatori del NO

  • il mancato rinnovo delle licenze avrebbe conseguenze dirette  trascurabili sull’occupazione. Una volta istallati gli impianti, le attività di estrazione sono  ad elevatissima intensità di capitale, mentre gli effetti indiretti sull’ “indotto”, in mancanza di analisi serie sulla base di tavole input output aggiornate, sono ignoti, ma penso “piccoli” (v. Galeotti e Lanza su lavoce )
  • il fatto di “essere costretti” ad importare dall’estero il petrolio che eventualmente non si dovesse più estrarre è un argomento che denota l’analfabetismo economico di questo dibattito: se il costo unitario (“per barile”) del petrolio prodotto è (come probabilmente é)  maggiore del prezzo all’importazione , il benessere migliora se si importa energia dall’estero piuttosto che produrla in modo inefficiente all’interno. Anche qui sarebbe utile conoscere i costi unitari della produzione delle piattaforme in questione.

A differenza di quanto sostenuto dai propugnatori del SI

  • il turismo e l’ambiente non sono attualmente danneggiati dalle piattaforme esistenti
  • la probabilità di un evento catastrofico è molto bassa
  • la scelta strategica tra fonti di energia tradizionali e rinnovabili non c’entra nulla, dato il peso molto piccolo dei giacimenti in questione.
Si tratta di capire allora cosa cambierebbe se vincesse il SI. Attualmente la concessione dello Stato è a)  a tempo indeterminato b) prevede delle  franchigie di produzione  elevate (20mila tonnellate barili per estrazione da terra e 50mila  da mare)  per cui c) lo stato incassa delle “royalties” (basse: il 7% circa del valore delle estrazioni) solo se le compagnie superano questi livelli.
Il combinato disposto di a-b-c permette perciò alle compagnie concessionarie di dilazionare nel tempo le estrazioni, estrarre quantità ridotte e spesso entro i limiti delle franchigie e pagare poco allo Stato (314 milioni nel 2015 v il fatto.). L’effetto di un SI al referendum verosimilmente darebbe un incentivo ai concessionari per accelerare le estrazioni generando maggiori entrate per lo Stato a cui verrebbero dunque trasferiti parte dei profitti dei concessionari. 
Si pone però un problema legale: poniamo che tra 2 anni, il termine della scadenza delle licenze se vincessero i SI, i giacimenti di  petrolio e gas non venissero esauriti, ad esempio perché con prezzi bassi del petrolio, l’incentivo ad accelerare la produzione non sia abbastanza forte, Sarebbe possibile ribandire le concessioni? I giuristi non sono d’accordo ma prevalgono i pareri contrari. Dunque si lascerebbero “in mare” risorse non utilizzate (forse potenzialmente dannose per l’ambiente, e forse anti-economiche da estrarre). Un altro problema è chi dovrebbe sostenere i costi di smantellamento delle piattaforme nel caso vincano i SI oppure i NO. Questo non mi è chiaro.
Nell’incertezza su molti dei parametri rilevanti, mi sembra che le ragioni del NO siano ancora  più deboli di quelle del SI (anche lasciando riposare in pace Ronald Coase)